Stupri singoli e di gruppo. Chat dell’orrore che incitano all’aggressività, al pubblico ludibrio, al presunto bisogno della donna-preda di essere dominata, ammansita, punita, penetrata, sventrata. Perché, in fondo, a lei piace e se l’è cercata.
Seguono i video fatti in itinere e quelli postumi a testimonianza del saccheggio avvenuto, della bravura, della performance sessuale e della parte fallica così tanto fragile ed evanescente che necessita di un rituale a dir poco primitivo per dimostrare al legittimo proprietario che esiste.
E poi c’è il resto del mondo, chi sta a guardare, chi spia, i guardoni compiaciuti, chi acquista i video dello stupro e chi in fondo acconsente rinforzando le derive.
L’orrore in una notte e la movida
Era il sette luglio, eravamo nella mia terra, più precisamente a Palermo. La notte dell’orrore. Le immagini delle telecamere di sorveglianza non mentono e inchiodano un gruppo di apparentemente innocui ragazzi che sorreggono una giovane ragazzina barcollante. Sono quelle stesse drammatiche immagini che, insieme a delle chat di Whatsapp e qualche scatto-trofeo narcisistico recuperato dai loro telefonini, faranno arrestare i giovani stupratori. I ragazzi sono giovani, giovanissimi. Hanno un’età in cui avrebbero dovuto divertirsi a cuor leggero, corteggiare, amare, ridere, sedurre e divertirsi. Uno di loro ha appena diciotto anni, l’altro ventidue e uno è addirittura minorenne. La ragazza racconta di essersi separata dall’amica e di avere bevuto parecchi cocktail. L’incubo che la porterà a vivere la sua notte dell’orrore inizia in un locale. “Falla ubriacare, poi ci pensiamo noi”, esordisce uno dei ragazzi. La vittima era talmente stordita e molto, non si reggeva in piedi, ha tentato di chiamare aiuto ma non è riuscita nel suo interno. I ragazzi si aiutavano tra di loro, come si fa tra buoni mici, si alternavano nel sorreggerla e nel violentarla, senza pietà e senza sensi di colpa.
La colpevolizzazione della vittima
A violenza segue violenza. La ragazza stuprata dal branco continua a subire la solita violenza verbale e mediatica. Viene colpevolizzata per il suo modus operandi, per i suoi vestiti succinti, per i suoi post sui social. “Certo, se fai dei video su TikTok con le canzoni provocatorie, è normale che ti succede tutto questo”. “Ma certo, se si veste in quel modo…”.
La denuncia che segue la violenza subita non è mai una scelta facile. La donna si sente sporca, sbagliata, umiliata e mortificata. Rilegge il suo comportamento e spesso tende a darsi la colpa. Pensa e ripensa a quello che avrebbe potuto fare ed evitare di fare. È una donna confusa, addolorata, squarciata dalla vergogna e dalla profanazione. Gridare al mondo quello che ha dovuto subire, se da una parte è la strada migliore per ricevere giustizia, dall’altra rappresenta la strada per l’ufficializzazione del danno subito, per non dimenticare. Ognuno, dopo, si sentirà autorizzato a dire la propria, professionisti e non. Nel caso di uno stupro conclamato e certificato come questo, e come tanti altri, i fatti non vanno appurati e nemmeno interpretati o giustificati, vanno rigorosamente condannati e la vittima protetta anche dall’opinione pubblica.
Bisognerebbe iniziare ad inculcare la cultura della denuncia. Bisognerebbe modificare il lessico e non dire più “per denunciare ci vuole coraggio”, ma dire che la denuncia è obbligatoria e la legge deve assolutamente intervenire con pene severissime e altrettanto rigorose. La denuncia non è opzionale ma consequenziale al danno subito. E la vittima va protetta anche e soprattutto dell’opinione pubblica.
La pozione magica per la risoluzione
Durante le settimane post-tragedia ho ascoltato tante interviste a politici, professionisti, avvocati, influencer, tuttologi. Ognuno di loro aveva la risposta in tasca, la ricetta perfetta con tanto di grammi, ingredienti e sequenze da svolgere per risolvere magicamente i drammi a cui stiamo assistendo.
Chi parlava di prevenzione, di promozione del benessere, di educazione emotiva ed affettiva. Chi sbandierava al vento il proprio credo screditando quello altrui.
La colpa è stata equamente distribuita tra il branco, le famiglie presumibilmente assenti, la scuola che latita nel suo ruolo educativo, il porno che tutto mostra ma che niente insegna, e la vittima che ancheggia sinuosa e ammiccante con tanto di vestiti succinti su TikTok.
Da madre e da clinico sono veramente molto preoccupata.
Ho il privilegio di ascoltare i disagi e le fragilità del cuore altrui e mi rendo sempre più conto di quanto amare in maniera sana spaventi. Il rapporto tra i sessi è diventato sempre più farraginoso e complicato. C’è un oscillazione continua dall’evitamento dell’aggressione. Le donne evocano paura oppure diventano prede e oggetti sessuali.
Io non ho pozioni magiche, la lista dei no, dei sì e dei buoni propositi, ma so che la responsabilità è di tutti noi.
La colpa è di tutti noi
Quando vedo un bambino in pizzeria con i genitori che invece di parlare con lui, di farlo disegnare o mangiare la pizza, lo piazzano dinanzi a un gioco online o video di YouTube grazie al cellulare o all’iPad-babysitter, so bene che quella solitudine e ansia diffusa lo porteranno a vivere in una prigione ripetitiva fatta di Internet e pulsioni confuse e inespresse.
So bene che quale bambino imparerà il mutismo difensivo, la non decodifica delle emozioni, la compensazione di quello che prova o che non sa di provare.
Quando vedo un ragazzino che a soli dieci o dodici anni ha libero accesso al mare magnum di Internet, video porno inclusi, so bene che diventerà fragile e insicuro, e che penserà che la sessualità sia fatta di violenza, di forza, di mancanza di rispetto nei confronti della donna e di un pene gigantesco.
Un genitore che non diventa tale soltanto perché ha messo al mondo il proprio figlio ha un compito educativo di fondamentale importanza: per il bene del figlio e della società, dal quale non può e non deve esimersi. Se un figlio è in grado di stuprare una ragazza insieme ad un branco di altri adolescenti e di filmare quello che ha fatto è un ragazzo che ha già palesato un disagio profondissimo, i cui segni prodromici sarebbero dovuti essere riconosciuti.
Quindi, la caccia alle streghe è assolutamente inutile e miope e non porta a una visione univoca e globale della deriva valoriale e comportamentale a cui stiamo assistendo.
La responsabilità è di tutti noi, e dobbiamo farcene carico.