Parte tutto da laggiù. Dall’infanzia, bella o brutta che sia. La crescita successiva si modella su ciò che modella più di ogni altra cosa: il passato. Passano gli anni, passano gli amori e passano anche le delusioni, ma lui, il passato, rimane lì incastonato nel cuore e nei pensieri, ammantato da un potere enorme.
Consegnare la vita al potere del passato equivale al ripercorrere gli stessi passi, anche quando questi hanno portato a inciampi o dirupi. Lamentarsi invano non serve a nulla, ripassarlo dal divano di casa, parlarne da soli con sé stessi o fare finta che non abbia un valore e un potere non serve a nulla. Imparare da lui, invece, rappresenta la strada per il cambiamento.
La vita tende a ripetere il passato senza talvolta aprirsi al nuovo.
Il passato, seppur disfunzionale e doloroso, diventa un luogo sicuro e conosciuto, mentre il nuovo con la sua carica di incognita rappresenta un salto nel vuoto senza paracadute.
Passato che vivi futuro che trovi
Noi tutti siamo frutto di traumi, di infanzie dolorose e di inesorabili (e inarrestabili) ripetizioni. Ma nonostante ciò, siamo poco inclini ad ascoltare il passato, ad interpretarlo e soprattutto a cercare di attraversarlo per modificarlo.
I miei pazienti vivono intrappolati nel passato. Il loro corpo – con i sintomi più variegati – grida pur di essere ascoltato, ma nonostante ciò, spesso lo ignorano.
Quando sono in studio vengo rapita dal racconto che il paziente fa del suo passato, da come lo descrive – spesso lo racconta come se fosse la trama di un film -, da come ne prende le distanze pur rimanendo così tanto ancorato a lui.
Il passato di ogni paziente mi incuriosisce profondamente; rimango lì, attenta e alla giusta distanza da lui e aspetto che lui, pian piano, lo schiuda a me.
Talvolta evito di fare domande perché il paziente si difende e racconta tante bugie, soprattutto a sé stesso. Incontro dopo incontro, senza fretta, il racconto si fa più intimo e aggiunge tasselli importanti del suo cuore e della sua psiche.
Quando il clima è empatico e profondo, il passato bussa alla porta del presente, si affaccia e ci raggiunge per essere riletto con uno sguardo nuovo e proficuo.
Ogni persona è frutto di ricordi, di scene e di coazione a ripetere (un potente meccanismo di difesa della psiche che ammanetta alla ripetizione di comportamenti disfunzionali), la cui origine ha sede nell’infanzia.
Il nostro compito non è quello di ritrovare il tempo del passato ma di consentire al paziente la sua trasformazione in storia, in racconto. Unica strada verso la trasformazione del dolore e dell’impasse (amoroso o lavorativo, per esempio) della sua vita.
Talvolta il passato del paziente è fermo lì, cronicizzato, dolente. L’incontro con la terapia rappresenta la possibilità di trasformare ciò che è immobile in cambiamento, in rinascita.
Ci sono pazienti che hanno smesso di amare perché non riescono a superare il dolore di un abbandono, perché l’abbandono del partner gli ricorda l’abbandono di un genitore: di quella madre algida e anaffettiva o di quel padre sempre fuori casa in carestia cronica di tempo.
Ci sono pazienti che vivono all’interno di relazioni estinte, ma è più grande la paura del cambiamento che la sofferenza che provano da non vita. Preferiscono rimanere intrappolati nella Siberia delle emozioni che attraversare le lande della loro solitudine per andare altrove ed essere, finalmente, altro.
Nonostante i sintomi parlino per loro, vivono con uno sguardo retrospettivo rivolto al passato e al contempo miope nei confronti di un possibile futuro.
Uno dei passaggi fondamentali della terapia (individuale o di coppia) è quello di aiutare il paziente a trascrivere, a tradurre, a digerire quello che è accaduto e che gli ha fatto tanto male grazie allo spazio della seduta, per evitare rimuginazioni vane e inutili.
Maneggiarlo con cura, ma non ignorarlo
A volte il paziente è silente e anche omertoso, non trova le parole per tradurre l’intraducibile, l’irrappresentabile, si esprime con i sintomi e con i disagi.
Le parole che riesce a trovare in terapia e con il terapeuta rappresentano un balsamo per la sua sofferenza, e la strada verso il nuovo che già abita in sé. I traumi del passato non vanno dimenticati o rimossi, ma elaborati e utilizzati. Qualunque danno può trasformarsi in dono e può contenere delle meravigliose opportunità di vita, se ne abbiamo cura e impariamo a lavorarci su.
Giulia e la sua trappola da eccesso di memoria
Giulia, nome di fantasia, viveva intrappolata in un eccesso di memoria.
Ricordava tutto con dovizia di particolari. Mi raccontava ogni volta l’abbandono subito; la volta successiva mi raccontava un altro frammento dello stesso abbandono; e la volta successiva ancora ritornava indietro e riprendeva lo stesso discorso, aggiungendo o ripetendo qualche frammento di memoria.
Sembrava un tentativo malsano di mantenere in vita il dolore e di non andare avanti.
Aveva bisogno della ripetizione, di seguire pedissequamente le stesse traccia di memoria, non conosceva altre strade, nemmeno impervie. Nel mio immaginario l’avevo ribattezzata Penelope.
Francesco, nome di fantasia, viveva intrappolato nell’esatto opposto: un eccesso di negazione della memoria (situazione difficile e molto frequente). Aveva vissuto un matrimonio terrificante, che lui raccontava come il periodo più brutto della sua vita. Sosteneva di aver incontrato una donna algida, anaffettiva, impermeabile alle emozioni, incapace di renderlo padre, e anche felice.
Dopo una separazione ancora più dolorosa del matrimonio aveva incontrato Alice, che a quanto pare aveva le stesse caratteristiche psichiche della moglie. I racconti di Francesco erano frammentati e incongrui. Non aveva accesso alla memoria e ai traumi subiti.
In realtà la storia di Francesco e storia di Giulia rappresentano due facce della stessa medaglia: l’eccesso di memoria e l’eccesso di negazione della memoria.
La prima riporta in vita in maniera immodificata il passato infantile; la seconda nega il passato, senza poter fruire del suo reale significato e patrimonio di informazioni.
Entrambi, Giulia e Francesco, hanno una difficoltà enorme a chiudere col il passato; vivono in uno stato di tensione e di conflitto psichico continuo e non riescono ad approdare a un nuovo inizio.
Un passato che viene negato, tacitato o sedato farmacologicamente, torna a bussare alla porta della nostra vita, in un modo o nell’altro.
Averne cura, maneggiarlo con cura ma farlo, averne la responsabilità del suo carico di doni e danni aiuta a scovare il bello nel brutto e regala vita alla vita.
4 Commenti. Nuovo commento
Buongiorno Dottoressa Randone,
È sempre un piacere leggere i suoi articoli, chiari, limpidi, onesti e scritti con estrema eleganza e stile, comprensibili e utili alla crescita.
Io ho fatto pace col passato. Ora ho perdonato tutti e anche me stessa.
Ma non dimentico. Ho imparato, e tengo le lezioni della mia vita come tesori. Tutto alla fine insegna.
Grazie, per questo articolo, perché ciò che sto vivendo io ora, con una persona che ha problemi enormi col suo passato, leggendo il suo articolo mi ha ulteriormente delucidato e confermato ciò che avevo intuito e fatto mio da tempo. Purtroppo ho cercato di aiutare quello che ritengo il mio compagno, al quale voglio molto bene, ma con una forma di compassione quasi materna (sbagliatissimo, lo so); ho sperato che il mio percorso evolutivo, senza troppi particolari, fosse di stimolo a cambiare meccanismi autodistruttivi. Io ce l’ho fatta senza troppi aiuti. Speravo fosse un incoraggiamento stimolante, considerando anche l’aiuto di un professionista. Mai in un rapporto di coppia sarebbe giusto, mia opinione, ergersi a “terapeuta domestico”. Non serve né con amici né con i compagni. Aiuta il tuo esempio, il tuo successo, ma ognuno ha il suo percorso da fare, unico.
Grazie per la conferma. Il passato non passa, il passato siamo noi; ma tutti ci fissiamo spesso sul certo, il vissuto, è confermato, lo conosciamo. Ma il passato irrisolto e doloroso, non è il companatico da portare, faticosamente, nel cammino di oggi verso il domani, incerto sicuramente. Bisogna accogliere, analizzare, perdonare, e con tenerezza abbandonare. Il passato a volte è un alibi. Il futuro ha bisogno di apertura e disponibilità alla vita, per le cose giuste per noi che arriveranno.
Solo così ci diamo forza per vivere il presente pienamente e con amore totale.
Cordialmente ringrazio.
Grazie a Lei, Giorgia.
Un caro saluto
Gentile Dottoressa,
io credo non solo che il nostro passato influenzi il nostro futuro, ma anche che il passato delle nostre madri, le cui scelte hanno determinato inconsapevolmente il nostro modo di vivere le relazioni, si rifletta sulla nostra vita. Donne della mia età (50 anni) hanno madri che sono appartenute alla generazione delle donne remissive, delle donne che non reagivano, che non si prendevano le loro libertà, che non si sentivano all’altezza dei loro uomini. Ovviamente mi riferisco ad una parte di esse, ma, soprattutto nella nostra cultura, purtroppo di madri infelici e rassegnate ce ne sono fin troppe. Le figlie ereditano questo disagio (quasi sempre inespresso) e lo radicano in loro stesse. Ne sono inconsapevoli, ovviamente, ma nei loro reiterati errori nella scelta di un partner, si evidenzia questo problema di autostima che rende loro difficile trovare un uomo che sia veramente degno di loro. Si accontentano, si colpevolizzano e si disperano quando il tutto sfocia in un abbandono. Eppure, la loro storia rischia di ripetersi all’infinito, non perché trovano uomini egoisti che le fanno soffrire, ma perché continuano a permettere a questi uomini di ferirle. Questo è il mio pensiero, ovviamente, basato sul mio vissuto. Che cosa ne pensa? Mi farebbe piacere conoscere la Sua opinione. Grazie
Buonasera e grazie per il suo commento che mi regala la possibilità di argomentare ancora. È un tema molto complesso ed è impossibile generalizzare, ma è assolutamente vero che madri infelici generano figli infelici, così come madri o padri coraggiosi offrono degli esempi da poter emulare.
L’amore, in generale, ama i coraggiosi.
E per essere felici bisogna avere coraggio e non avere paura della felicità.
Un caro saluto