Nessuno stato è così simile alla pazzia da un lato, e al divino dall’altro, quanto l’essere incinta. La madre è raddoppiata, poi divisa a metà e mai più sarà intera.
Erica Jong
Riflessioni cliniche sull’utero in affitto
Utero: contenimento o contenitore? In un momento storico di consumismo sfrenato e di salute hitech, tutto è acquistabile e riproducibile dall’uomo, e a quanto pare anche un figlio. Leggi, emendamenti, provette, banche degli ovociti e uteri in affitto, e per finire pellegrinaggi fecondativi in terre dove la legge è più clemente o “colludente”, e ancora, donne e madri surrogate e conti bancari che, miracolosamente, in soli nove mesi, ritornano a fiorire unitamente al bagno ormonale della prescelta.
Il figlio, però, sembra l’unico a non poter dire la sua, a non essere tutelato prima di nascere e sarà colui che, a contratto stipulato, verrà estirpato dalla madre e acquistato dalla coppia che lo ha commissionato, indubbiamente con le più nobili intenzioni. Una vera giostra dell’embrione, un parco giochi
dove tutto è possibile e attuabile. Diamo uno sguardo ai costi, o meglio al listino prezzi. Le cifre per una maternità surrogata sono infatti, davvero da capogiro, oscillano da 120.000 euro negli Stati Uniti, fino ad arrivare a
un prezzo affare in Grecia: soltanto 48.000 euro.
Forse, nel tempo, arriveremo alla formula da supermercato “tre al prezzo di due“.
La scienza, si sa, aiuta le coppie attendiste e le coppie con problematiche di salute e di fertilità, ma, nel tempo con la frammentazione della maternità nella “triade ovocita/utero/genitorialità”, si sta smarrendo il vero significato del “dare alla luce“, del mettere al mondo, del figlio come conseguenza di un amore e di un utero come organo altamente simbolico e non un semplice organo esanime e cavo.
Maternità non equivale a ospitalità, l’utero non è un organo disgiunto dalla donna, dalla vita intrauterina del feto, dal desiderio di procreazione e dalle emozioni o ansie provate.
Un figlio a ogni costo e, soprattutto, in ogni modo. Non stiamo parlando di una casa al mare da affittare per le vacanze estive, o di uno chalet in montagna, o ancora di una barca, ma di un utero!
L’utero è un organo altamente simbolico attorno al quale ruota la crescita psico-sessuale e l’identità della donna: dal menarca al parto.
È un organo che evoca il contenimento – concetto ben differente dal “contenitore” – la gestazione e il ventre materno, in tutte le sue infinite declinazioni e sfumature relative alla fase della vita intra-uterina e della fase postuma relativa alla diade “madre-bambino”.
La fecondazione assistita, mediante le tecniche di maternità surrogata, si orienta inevitabilmente verso la frammentazione della maternità nella triade ovulo-utero-genitorialità.
Quali rischi per la madre e il bambino
La madre surrogata non è un contenitore che ospita e che contiene a sua volta il contenitore, cioè il suo utero, ma una donna con un”integrità somato-psichica” di cui nessuno sembra tener conto. La parcellizzazione della maternità rimanda alla possibile ospitalità data da una casa in affitto, non so al mare o in montagna, magari già arredata, quindi abitabile con il minimo sforzo. Il corpo di una donna e il percorso intra psichico e relazionale che porta alla maternità è ben altro e parte da terre lontane.
Il legame unico che si crea tra madre e bambino che ha in utero è unico, irripetibile e determinerà caratteristiche della sua psiche e del suo patrimonio emotivo; non si può disgiungere il patrimonio genetico dal contenitore – l’utero – né dalla mamma che lo cullerà, che lo accudirà, che lo curerà e che si occuperà di lui. Quando il piccolo, dopo ben nove mesi, verrà alla luce, la madre che lo avrà tra le sue braccia – esattamente un prolungamento dell’utero materno – che lo inebrierà con il suo odore, unico e irripetibile, dovrebbe essere la madre che lo avrà partorito. Entrambi avranno bisogno l’una dell’altro.
Riflessioni sul bambino che nascerà
In un momento storico di amori a termine, di sentimenti e di legami che non diventano longevi, di crisi sociale e di coppia, anche il bambino che nasce sembra essere candidato al “precariato psichico e relazionale“.
Questo bambino sarà destinato alla mancanza di certezze, di continuità affettiva e di amore stabile e unico, cominciando già dal suo essere embrione. Queste sgradevoli sensazioni sopravviveranno poi con lui durante la sua crescita, nella sua memoria corporea.
Sono piccoli e già nomadi, sin dall’utero, con una valigia in mano già dalla provetta e, forse, dalla fase del desiderio: nascono “qua”, ma dovranno andare “altrove“.
Nemmeno l’embrione sembra poter avere stabilità, poter avere un luogo sicuro e stabile dove poter nascere e crescere; anche l’utero è in affitto, a termine, si proprio l’utero che dovrebbe essere un luogo simbolico di contenimento e di travaso di emozioni, di sensazioni, di ansie miste a paure che passeranno dalla mamma al suo piccolo, come un’importantissima “dote” genetica ed emozionale. Il piccolo a parto avvenuto, non avrà nemmeno il tempo di emettere il suo primo vagito che, a consolarlo, saranno ben altre braccia. Questo sradicamento dall’affettività, di certo, non è a favore della crescita psichica.
Bibliografia
• Giuseppe Cassano “Le nuove frontiere del diritto di famiglia. Il diritto a nascere sani, la maternità surrogata, la fecondazione artificiale eterologa” Giuffré, 2000
• Ines Corti “La maternità per sostituzione” Giuffré, 2000
• Carla Faralli e Cecilia Cortesi “Nuove maternità. Riflessioni bioetiche al femminile” Diabasis, 2005
• Alicia B. Faraoni “La maternità La natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina” Giuffré, 2002