Quando si cambia, gli altri, soprattutto gli affetti, rimangono basiti. Si trasformano in giudici, in esecutori di una condanna.
Spettatori algidi, con il loro dito puntato, sperano di instillarti il senso di colpa appiccicandoti addosso diagnosi cliniche del tutto amatoriali.
“Sei strana, strano, pazza, pazzo, fuori da coro, ma cosa fai?” E così via..
Iniziano i silenzi, le rappresaglie in maschera, gli sgambetti, le punizioni
affettive, le false gentilezze stracolme d’odio e di livore. La lontananza del cuore occupa tutte le stanze della vita. Segue il silenzio difensivo e quello punitivo. I muri. I bronci. Le presunte paturnie o stranezze del partner mutante e le rappresaglie di quello immobile.
Serpeggia, dentro la coppia che spesso coppia non è più, un senso di estraneità che si fa sempre più denso, cupo, duro: un pugno in pancia di cui non puoi non occupartene.
Jung, nei suoi scritti, parlava di un processo di crescita psichica che si chiama individuazione. Un cammino interiore che prevede una progressiva integrazione delle ombre e delle varie istanze che formano la personalità.
Come ogni crescita, l’individuazione è un percorso doloroso e continuo: miete vittime e consegna alla solitudine, soprattutto del cuore.
Il partner spettatore non partecipante, ma giudicante, preferiva le ferite del passato invece della nuova luce, le vecchie abitudini disfunzionali invece della guarigione profonda, i traumi antichi al posto dei nuovi sorrisi.
Si sente minacciato, ignorato, escluso, addirittura profanato.
Sente violato quel patto tacito di immobilismo, anche a costo dell’infelicità. Ma lui, il partner immobile, in fondo non fa assolutamente nulla per mettersi in cammino in direzione belvedere.

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2 Commenti. Nuovo commento

  • Gent.ma Dott.ssa,
    La seguo da molto, la leggo in ogni sua espressione… Quello che ha scritto in questo frangente, mi ha mosso una lacrima interna ed un sorriso: ho passato tutto quello che ha scritto, prima con un compagno, poi con mia madre che si è convinta io fossi l’agnello sacrificale che avrebbe dovuto prendere il posto del marito, mio padre, da cui si era separata dopo anni di autocommiserazione. Ora che sono “cresciuta” nel profondo, nella mia anima, nella mia testa prima che nel mio cuore, sono condannata da lei e da mio fratello: sono matta, sono malata (e la mia diagnosi di Sclerosi Multipla non è che una compagnia ai loro occhi), sono egoista, sono anche arrivista. Si ho deciso di badare a me stessa, alla compagna sgradita di vita, e prima ancora a mia figlia. Ho tagliato fuori loro, le loro pretese, i loro egoismi. E si, sono serena di questo equilibrio nuovo, in cui se non mi va, non rispondo né al citofono, né al telefono.
    Grazie per il sostegno che offre a tutti noi.

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    • Valeria Randone
      6 Aprile 2025 06:12

      Grazie a lei per le belle parole.
      Nessuna lettura però è un vero sostegno! Mai.
      Un caro saluto e auguri per tutto.

      Rispondi

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