La riparazione è un’arte antica, ormai tristemente dismessa. Ai mobili buoni, massicci e d’un tempo, si sono sostituiti quelli dei centri commerciali: facilmente reperibili, scintillanti, alla moda, con costi contenuti, ma a termine. Così, appena si rompono, non c’è nessun margine di recupero e nemmeno quote residue di pazienza per ripararli, e si buttano via senza pensarci troppo.
La stessa pratica viene estesa alle relazioni.
Riparare è diventato desueto. È più facile buttare, bloccare, scappare, fare Gosting.
Oggi si preferisce un amore nuovo di zecca a un amore rammendato.
Quando ero ragazzina e non avevo ancora idea di quanto costasse vivere, il mio sogno nel cassetto era abitare in una cascina di campagna, in un rudere. Ero affascinata dai grandi cortili e dalle stalle, dalle albe e dal silenzio.
Mi piaceva l’idea che un vecchio casale contenesse i ricordi di altre vite. Che avesse ancora tanti oggetti e monili da restituire a una nuova veste e identità.
Sono cresciuta con le mie due nonne, e amavo ascoltarle con i loro racconti impolverati e luminosi.
Le guardavo spolverare con immenso amore i loro cimeli, e ad ognuno di loro corrispondeva una storia, un racconto, un’emozione incisa a fuoco dentro di loro e subito dopo anche dentro di me.
Credo di aver imparato da entrambe l’arte della cura e della riparazione.
Donne operose e d’altri tempi che insegnavano vivendo, con due cuori immensi. Avevano cresciuto tre figli una e cinque l’altra, avevano attraversato la guerra e quando non c’era nulla da mangiare cucinavano le fave e i ceci perché costavano poco.
Le pietre di zucchero le trasformavano in dono e anche niente, nelle loro mani, era una festa.
I resti in cucina diventavano sempre qualcos’altro. Passavano dal cuore e dalle loro mani sapienti e si trasformavano in uno sformato, una frittella, una ciambella, in concime per le piante e sconoscevano la pattumiera.
Erano donne stanche ma felici, intelligenti, creative. Credo che l’arte della riparazione l’abbia interiorizzata da loro.
La mia attività di clinica mi porta a vedere tante coppie: tradite, maltrattate, alcune mai nate altre in crisi, riparate, da aggiustare, infantili, adultizzate sin da sempre.
Nonostante i fardelli che mi portano, le parolacce e gli insulti, riesco a vedere coloro che un tempo si erano scelti. Perché sotto le ceneri e il fumo nero della collera ci sono ancora entrambi con le loro ferite.
Talvolta è bastevole spolverare un po’, altre volte rassettare il disordine, altre ancora restaurare con perizia e pazienza.
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1 Commento. Nuovo commento
Dottoressa! Ma che bello questo articolo! C’è tutto: i cuori delle persone, la Storia (intesa come vita delle persone, e come eventi che interessano tutti) di ieri e di oggi. Oh come è vera la Sua riflessione sul nostro modo di approcciarsi ieri e oggi, ai mobili e agli oggetti. Alla cura e/o al recupero (o meno) di ciò che si è un po’ invecchiato, rotto, graffiato impolverato. Ma come Lei scrive, anche questo si insegna. Si insegna non con le parole…ma con i gesti… e lo si applica poi a tutto ciò che ci circonda: persone, animali, cose…. Si potrebbe dire:”Si è quel che ci è stato insegnato e quel che noi abbiamo recepito”.
Così, se ci è stato insegnato a rincorrere l’amore, o a mendicarlo, con estrema fatica non lo rincorreremo e non lo mendicheremo.
Grazie per i suoi pensieri che condivide con noi, Un cuore un po’ in affanno. B.