Non sto parlando di amori, ma di sintomi.
Quando si stringe la mano a un disturbo psichico, il patto sancito è una cosa seria, come quando si da la propria parola d’onore.
I sintomi, silenti ma non obbedienti, ci parlano con il loro linguaggio muto. Tutto da decodificare.
Ogni sintomo del corpo è sempre un sintomo del cuore, e uno del cuore del corpo.
Così, affinché si possa recidere davvero il patto di mutuo soccorso, ci vuole tempo, pazienza e aiuti mirati. In caso contrario i sintomi sedati, ignorati, tacitati, spostati da un posto all’altro e spodestati dal loro potere, escono dalla porta e rientrano dalla finestra.
Quando appare un sintomo psicosomatico, il suo compito principale non è farci stare male in maniera gratuita, ma dirci qualcosa.
Parlare con noi. Di noi.
Urlarci a squarcia gola quello che non vogliamo ascoltare, vedere, sentire sulla pelle.
Cosa vuole dirci e di chi vuole parlarci non ci è subito chiaro, ma se lo trattiamo con garbo e rispetto ci rivelerà dei contenuti preziosi.
Così, se invece di lottarlo come spesso accade, gli aprissimo le porte della psiche, lui diventerebbe il nostro più fidato alleato.
I sintomi, anche i più atroci e invalidanti, se maneggiati con cura e accolti con una buona dose di ascolto, come se non fossero degli ospiti indesideri, da sterili e dolorosi diventano miracolosamente istruttivi.
Si trasformano in fari nella notte che ci indicano la strada da seguire e, soprattutto, quella da non seguire per salvarci la vita.
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