Litigano, si insultano, si strappano. Si offendono e si ignorano. Tentano amatoriali riparazioni e approssimative ri-partenze.
Nascondono l’irrisolto sotto il tappeto della quotidianità e del quieto vivere. Il malessere viene prontamente trasferito dietro il muro insormontabile del tanto abusato amore per i figli e dietro la paura da rata del mutuo.
Mettono cerotti a degli squarci che diventano sempre più squarci, e a delle ferite che diventano sempre più profonde. Utilizzando la sessualità per non parlare, per far finta che tutto vada per il verso giusto.  Non si parlano. Non si ascoltano. Non si baciano.
Sono i coniugi in crisi.
Coloro che negano a loro stessi un malessere cupo e sordo che si chiama crisi di coppia mentre cercano altrove la causa e la soluzione per i loro malanni.
A un certo punto accade qualcosa: dentro di loro, o dentro uno di loro. Appare all’orizzonte la crisi.   Un’onda anomala di malessere che parte da lontano e che porta lontano. Così si mettono in pausa. Disperazione, angoscia, la più cupa depressione, i sintomi al posto delle parole. Il silenzio dei sensi al posto dell’intimità, quella vera.
La disperazione prende il sopravvento e si sostituisce alla più tiepida speranza.
La pausa, più comunemente detta pausa di riflessione, diventa una strategia per non agire, per non affrontare, per non immergersi nella profondità del disagio.
Si allontanano, non si parlano, aspettano. Cosa e chi non è ben chiaro. Confidano nel potere terapeutico del tempo che passa. Quando il malessere è dentro la coppia è li che bisogna affrontarlo, non altrove.  Non si può lasciare una barca alla deriva senza rotta e senza meta per immettersi in navigazioni solitarie. I rischi sono due: trovare un nuovo porto per approdi solitarie, schiantarsi contro gli scogli chiamati vita.

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