Un figlio adolescente è evasivo, schivo, solitario. Attraversa una fase della vita caratterizzata da una grande foschia dentro la quale perde di vista sé stesso e il mondo. La pelle diventa un organo di confine: separa il suo mondo interno da quello esterno, trasformandosi talvolta in un teatro in grado di ospitare le più grandi battaglie.
I genitori, durante questo cammino, devono armarsi di determinazione, coraggio e tanta pazienza.
Devono scendere a patti con la frustrazione e con il bisogno impellente di esserci nelle loro vite.
Perché loro saranno i grandi esclusi.
Un genitore ricorda bene quando anche lui è stato adolescente, e vorrebbe mettere a disposizione tutta la sua esperienza al fine di offrirgli una sorta di lente d’ingrandimento sul mondo e i suoi abitanti.
Ma l’adolescente non gradisce nessun tipo di ingerenza, nessun suggerimento e, talvolta, nessun tipo di ascolto.
Non ama essere toccato, né abbracciato né baciato.
Non ama le parole, la tua presenza, la tua assenza. È confuso e ti confonde.
Preferisce il silenzio, le chat e gli amici. Il gruppo dei pari diventa un grande abbraccio e il genitore oscilla dall’essere un perfetto intruso a essere un perfetto sconosciuto.
Così, ti chiedi se è giusto assecondare questo silenzio. Silenzio che per le tue orecchie diventa un assordante rumore.
Ti chiedi se è giusto lasciare che attraversi la sua foschia in perfetta solitudine.
Solitudine che per te si trasforma in ansia e in senso di esclusione.
Ti chiedi se è giusto evitare che cada e si faccia del male.
Male che fa più male a te che a lui.
Se è giusto essere lì dietro l’angolo della sua vita, sempre pronto a tendergli una mano.
Così, per sopravvivere a questa faticosissima stagione della sua e della tua vita, decidi di baratte il suo silenzio con un tuo abbraccio estorto.
Quando passa distrattamente in soggiorno, quando si sveglia ed è ancora assonnato, insomma, quando non ha tempo per indossare i panni dell’adolescente evasivo.
Gli adolescenti vogliono a tutti i costi essere dei figli orfani di genitori vivi, ma tu genitore avverti un bisogno insopprimibile di esserci, di ascoltare, di parlare anche in silenzio con l’unico linguaggio comune. Quello dell’amore.
Chi ha piacere di ricevere i miei scritti e video in e-mail, può iscriversi in maniera gratuita alla mia newsletter settimanale e al mio canale YouTube.
Chi ha una questione di cuore da raccontarmi e gradirebbe una risposta può scrivere qui.
2 Commenti. Nuovo commento
Buongiorno Dottoressa,
ho cinquantotto anni e ho una figlia che ha vent’anni.
Da bambina fino ai suoi sedici anni, era molto attaccata a me, mentre ora vedo che gli abbracci non le piacciono più.
Questo mi rende triste e spesso mi chiedo come mai è cosi cambiata.
È vero che sono una mamma iperprotettiva, forse troppo. Se vedo altre amiche con le loro figlie, mi accorgo che sono molto diverse dalla mia.
Può darmi un consiglio.
Grazie.
Gentile Lettrice,
forse la risposta è insita nel Suo racconto.
Il Suo essere iper protettiva potrebbe essere vissuto da Sua figlia come un eccesso di presenza, così scappa dai suoi abbracci.
Provi a cambiare atteggiamento e modus operandi.
Un abbraccio, anche materno, è un luogo rassicurante da abitare, ma non deve farsi manetta o luogo dell’asfissia.
Un caro saluto.