Qualche volta ci dimettiamo, cambiamo rotta e ricominciamo.
Ci dimettiamo dagli affetti, dagli amori, dalle idee che ci hanno camminato a fianco a lungo e nelle quali abbiamo creduto, dagli obblighi.
Ci dimettiamo dal passato.
Smettiamo di ripassarlo, semplicemente, e guardiamo al futuro.
Talvolta, ci dimettiamo dai vizi, dalle dipendenze, dalla noia e dalla solitudine.
Quando le maglie dell’abitudine ci impediscono di respirare e la rete di protezione diventa un recinto, cambiamo rotta.
La paura – unitamente ai meccanismi di difesa della psiche – muove le fila di tante scelte o non scelte, di alcuni giri di boa dell’esistenza, dei più svariati rallentamenti e dossi, e anche derive.
Il nostro inconscio diventa anarchico e ci rema contro, così, senza chiederci il permesso può trasformarsi nel vero pilota delle nostre vite: ci cattura e ci dirotta, e noi lo confondiamo per destino.
Cambiare rotta è qualcosa che sta a metà strada tra un salto nel buio, un atto di fede, una lezione di ottimismo e una vertigine.
Significa avere in mano le redini della nostra vita, lavorativa e amorosa, e avere intrapreso un dialogo profondo con il nostro inconscio.
Perseverare nei percorsi intrapresi, soprattutto se sono stati delle strade senza sbocco, significa perseverare.
Atteggiamento più simile alla testardaggine che alla costanza.
Cambiare rotta però spaventa.
Spaventa la paura dell’incertezza, il non poter prevedere o controllare cosa accadrà, così, l’ansia prende il posto del coraggio.
Per non dimenticare, dobbiamo tenere a mente la strada già percorsa, per evitare che ci riconduca allo stesso punto di partenza.
Dobbiamo distinguere le emozioni dalla ragione, e stabilire a chi, di volta in volta, dare spazio dentro di noi per indicarci la strada.
Il diritto alla trasformazione è più forte di qualsiasi paralisi dell’esistenza.
È davvero un gesto sovversivo.

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