Le separazioni e i divorzi, si sa, portano con loro dolore, angoscia, e a quanto pare morte.
Il recentissimo rapporto statistico dell’Eures dimostra ancora una volta che proprio i rapporti familiari producono annualmente “tragedie domestiche“.
Muoiono più donne a seguito di “amori malati” che per incidenti stradali.
L’Avvocato Gian Ettore Gassani, presidente nazionale dell’Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani, spiega:
“La donna è da sempre la vittima di tale orrendo fenomeno sociale, sia essa moglie, convivente, sorella o madre. Il Centro Studi AMI, nel confermare che quasi il 52% delle vittime aveva già chiesto invano aiuto allo Stato contro i propri carnefici, fa rilevare che l’esplosione massima della violenza intrafamiliare avviene, nel 60% dei casi, quando è stata richiesta o comunque avviata la procedura di separazione da parte della donna”.
I dati dell’Eures dimostrano, pertanto, che tutte le leggi che sono state introdotte per reprimere la violenza in famiglia sono tristemente fallite.
Qualche nota clinica
Si continua a chiamarli delitti passionali, il reale movente dovrebbe essere l’amore.
Sono delitti diversi, psicologicamente ed emozionalmente più drammatici. Chi uccide ama la sua vittima: la ama mentre la uccide.
Spesso sono “amori bisognosi”, sono “amori dipendenti”, viene infatti ucciso l’oggetto del bisogno e non dell’amore. E se di amore si tratta è un amore tossico, estremo, egoistico e corrosivo, fatto di possesso e di gelosia ossessiva, che conduce alla follia, spesso detta “follia omicida” ( che nulla ha a che fare con il famigerato raptus omicida, che non esiste).
Amore e odio, amore e morte, sembrano essere l’uno il contro altare dell’altro e coesistono all’interno della stessa persona e della stessa coppia.
Cosa scatta nella mente di chi uccide e perché?
È la rabbia atroce sperimentata dopo la scoperta di un tradimento, la depressione vissuta dopo un abbandono, la difficoltà – se non impossibilità – a gestire ed elaborare una separazione, che spingono a uccidere.
Un amore crudele che coabita con l’odio è un amore malato, estremo e soprattutto esasperato ed esasperante.
Sentimenti incontrollabili. Emozioni pericolose. Agiti aggressivi (attinge out).
In questi casi regna sovrano l’odio e l’aggressività, non “l’amore per l’altro” ma il “bisogno dell’altro“, il suo possesso totale, fino a immaginare, mossi da pensieri deliranti, l’appropriazione della vita e del mondo interno del partner.
Trattasi di un amore dominato dagli istinti, non dalle emozioni.
Trattasi di un amore regolamentato dall’utilizzo dell’altro per il proprio benessere psichico e per la propria sopravvivenza, spesso è proprio la “schiavitù psicologica” e fisica dell’altro, che mantiene in vita questi “amori letali“
L’Amore nutre o uccide? L’Amore protegge o minaccia? L’Amore, quello vero, accetta le separazioni o non tollera incertezze e fragilità? La capacità di gestire una separazione dipende dall’intensità dell’Amore o da una struttura di personalità problematica?
L’Amore criminale, quello associato ai delitti al femminile, è un amore malsano, tossico, nocivo e mortale.
Questi uomini hanno una storia di vita emozionale e psichica complessa e spesso queste lacune – direi voragini – partano proprio da lontano.
Sembra, infatti, che quello che viene percepito come esclusivo e unico, generi nella loro mente un bisogno estremo di appartenenza della loro donna il più delle volte anche oltre la volontà altrui.
Si tratta di uomini che non accettano l’autonomia femminile, decisionale ed emozionale, e che spesso per fragilità personologiche, vogliono controllare la donna e sottometterla al proprio volere e sentire.
La storia parla da sé – corsi e ricorsi storici – siamo passati dal diritto d’onore al divorzio, al divorzio lampo, sino ad arrivare alla negoziazione assistita e tornare infine all’atroce delitto d’onore. Il delitto d’onore è stato abrogato nel 1981, ma nonostante l’efferato simbolismo a esso associato, sembra sopravvivere nel tempo e abitare la (non) cultura di molti uomini italiani.
Il folle significato del delitto d’onore
Il tragico epilogo parte spesso da lontano: da uomini irrisolti, possessivi e prepotenti, che preferiscono uccidere l’oggetto d’amore piuttosto che rinunciare a esso.
Insane e illogiche passioni muovono le fila di famigerati, quanto irreali, “raptus omicida”.
Il denominatore comune è sempre e comunque l’amore: un amore folle e malato, nocivo e dolente che conduce poi alla morte.
Solitamente la donna è un’ex amante, fidanzata o moglie, donna che è stata oggetto di “fantasie amorose” e che ha poi espresso il desiderio di interrompere la relazione, perché giunta a termine o dolorosa.
L’elemento clinico determinante è la “fissazione” sul suo ipotetico oggetto d’amore; una sorta di “fissazione ideo-affettiva” sulla donna che decide, se pur con sofferenza e paura, di chiudere il legame.
Il delitto passionale è sicuramente la conclusione di un amore tormentato e tormentante, soprattutto non più corrisposto e ormai giunto alla sua fine.
Il significato inconscio di cotanta atrocità è il latente desiderio di lavare col sangue l’onta di essere stati lasciati dalla moglie o dalla compagna; come se la morte estinguesse ogni paura, della perdita e dell’abbandono.
Amore, aggressività e coppia
L’assassinio “amoroso” è l’ultima bizzarra soluzione per arginare la minaccia dell’abbandono e del distacco. Di solito gli amori non finiscono nello stesso momento, uno dei due protagonisti del legame continua ad amare e non è pronto per il distacco, che vive come una vera e propria lacerazione.
L’omicidio appare all’improvviso nella vita di queste coppie?
La clinica ci mostra come le aggressioni non sono quasi mai un fulmine a ciel sereno, rileggendo infatti la storia di questi uomini e di queste coppie, ci sono già stati dei “segni prodromici” di aggressività, di instabilità psichica e di efferata e di delirante gelosia.
La coppia, che si crea e si mantiene in vita sulla base delle loro fragilità, è formata da una vittima e da un carnefice: da un uomo dominante e da una donna sottomessa e viceversa.
Trattasi spesso di coppie “collusive” che si sono scelte proprio in funzione delle loro pregresse ferite dell’anima.
Il “partner maltrattante” e quello “maltrattato” sono caratterizzati da una “complementarietà psichica” caratterizzata dal binomio sadismo-masochismo.
Il filo invisibile che li tiene insieme crea la loro “coppia patologica” e la mantiene indissolubile fino alla morte.
La coppia, solitamente, alterna momenti di calma apparente e di serenità ad aggressioni verbali e fisiche, di violenza crescente, per poi ritornare a una condizione di calma pregressa. Aggressioni, sensi di colpa e riparazione sono i protagonisti di questi “amori violenti” fino a che morte non li separi.
Quando la donna, a seguito di tanta sofferenza, prende coscienza e comprende che questo sentimento così totalizzante non è amore, desidera separarsi.
La separazione e il divorzio postumo fa traballare la mente e la psiche dell’uomo e l’incapacità a gestire l’abbandono, che sfocia poi in una drammatica uccisione.
Il rapporto statistico dell’Eures conclude che più del 50% delle tragedie familiari deriva da separazioni “consensuali” solo sulla carta.
Valeria Randone